Covid, cosa cambia per lavoro e smart working con la proroga dello stato d’emergenza

Nessun cambiamento per la cassa Integrazione e per il blocco dei licenziamenti, ma qualche novità in più per i protocolli di sicurezza delle aziende e lo smart working. Sono queste le principali conseguenze sul mondo del lavoro di un’eventuale proroga dello stato di emergenza per il Covid in Italia.
Per quanto riguarda lo smart working, dal 16 ottobre dovrebbe tornare in vigore la necessità di procedere ad accordi individuali per attivare il lavoro agile di ogni dipendente.
Sempre sullo smart working, bisogna ricordare che la normativa vigente ha prorogato fino al 31 dicembre il lavoro agile per il 50% dei dipendenti della Pubblica Amministrazione con mansioni che possono essere svolte da casa.
Per quanto riguarda il lavoro in azienda, con la pandemia è stato chiarito che non può essere lasciato al datore di lavoro l’onere di fissare distanze di sicurezza superiori a quelle definite dal legislatore o, invece, di individuare misure diverse da quelle previste.
Le aziende in questi mesi hanno dovuto adattarsi: dalla quantificazione della percentuale di presenze consentite in sede alla predisposizione di procedure di ingresso adeguate, fino allo smart working.
Secondo l’Istat i potenziali smart worker italiani potrebbero arrivare fino a 8,2 milioni. L’istituto ha sottolineato che il ricorso al lavoro agile durante l’emergenza non sia solo risultato “determinante per preservare i livelli occupazionali” ma anche per “limitare la mobilità quotidiana, soprattutto nelle aree urbane”.
Non ci dovrebbero essere cambiamenti, invece, sul tema Cassa Integrazione e licenziamentibloccati. Entrambe le misure continueranno ad essere valide fino alla fine del 2020.
La CIG-Covid 19 è disciplinata dai provvedimenti d’emergenza varati dal governo quando è iniziata la pandemia e le ulteriori 18 settimane di ammortizzatore, in parte pagate dallo Stato in parte dalle le aziende, termineranno con la fine dell’anno.
Lo stesso discorso vale per il blocco dei licenziamenti, che dovrebbe rimanere in vigore fino a gennaio 2021. Se dovesse essere ulteriormente prorogato, si arriverebbe a un anno di blocco, cosa mai successa dalla fine del dopoguerra .
La proroga dello stato d’emergenza, infine, consentirebbe anche di estendere le regole che impongono l’obbligo del tampone per chi entra in Italia da Croazia, Grecia, Malta, Spagna e Francia .
Così come potrebbe essere prolungato l’obbligo della mascherina nei luoghi chiusi aperti al pubblico e all’aperto a partire dalle ore 18 e fino alle 6 del mattino dove non è garantito il distanziamento sociale.
Prima del Covid lavorava di default da casa appena lo 0,8% del totale degli occupati, meno di 200mila persone. Lo riporta l’Istat in un Report messo a punto insieme all’ufficio statistico europeo, Eurostat, e riferito al 2019.
La stragrande maggioranza, otto lavoratori su dieci, prestavano servizio nei locali e negli ufficimessi a disposizione dall’azienda o dall’ente.
C’è poi chi trovava sede presso clienti e fornitori. Ma compariva anche una quota non trascurabile, circa il 7%, che un luogo fisso di lavoro non lo aveva.
A quanti avevano la propria abitazione come postazione “principale”, si affiancava un’altra quota, seppure residuale, di lavoratori per cui la casa era il piano B o che comunque si erano trovati a sperimentare nel corso dell’anno 2019, un’attività da remoto.
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